To be or not to be Charlie.
In seguito all’attacco terroristico al giornale satirico Charlie Hebdo ho assistito ad una preoccupante crisi d’identità di massa: il pubblico, commosso dalla morte di questo tizio francese di nome Charlie (come Charlie Chaplin!) ha deciso di protestare genericamente contro le cose brutte mostrando il messaggio “Je suis Charlie Hebdo”.
No dai, magari non è così brutta come la dipingo, nonostante il trend “cambio il mondo cambiando immagine del profilo” sia ormai inarrestabile, è possibile qualcuno l’abbia fatto con cognizione di causa. E’ possibile.
Non sono qui per fare lunghi elenchi inaciditi spiegando a chicchessia i motivi per cui non è Charlie Hebdo, sono qui per chiedermi quello che tutti avrebbero dovuto chiedersi prima di partecipare al delirio virale: “Sono Charlie Hebdo?“.
Nope.
Non lo sono, io sono Gloria Tortorella e non riesco mai a portare la bandiera di qualcuno al 100%. C’è sempre qualcosa che non mi sta bene. Inoltre non conoscevo nemmeno il giornale prima dell’attentato, ho forse visto qualche vignetta al centro di qualche scandalo ma non avevo idea di chi fossero gli autori né cosa facessero.
Grazie però all’ignoranza che eventi come questo fanno emergere dal fondo dello stagno, tra razzismo, xenofobia, ignoranza, buonismo, bigottismo e tipiche reazioni da folla urlante, ho realizzato che non sono Charlie Hebdo ma bensì amo Charlie Hebdo. Triste che io l’abbia scoperto nel momento in cui è stato ucciso.
Amo la libertà di poter criticare. Niente è perfetto e la critica è necessaria per avere un rapporto equilibrato con qualunque cosa: dalla religione, allo schieramento politico, al nuovo smartphone appena uscito. Ho visto gente indignata inneggiare al rispetto, considerando inaccettabili delle vignette in cui viene preso in giro il proprio dio ma allo stesso tempo non battere ciglio davanti alla repressione degli omosessuali in Russia.
People.